Le belle coste italiane, vanto e risorsa della nostra penisola, sono divenute in questi anni tristemente famose per lo sbarco di una folla di migranti. Molti di loro, uomini, donne e bambini sono riusciti a sopravvivere a una lunga traversata, molti altri invece hanno tragicamente concluso nel mare i loro sogni, le loro speranze e la loro vita. Il continuo affluire di queste persone che richiedono asilo e protezione internazionale sta mostrando il duplice volto dell’Italia: l’uno dell’accoglienza e l’altro dell’indifferenza che arriva a volte, sino all’aperto rifiuto di un fenomeno appena tollerato.
In mezzo a questa folla di esseri umani che, ormai siamo quasi abituati a vedere in televisione, ci sono persone molto diverse tra loro. C’è chi chiede sicurezza perché la Patria che li ha generati è divenuta il nemico da cui fuggire, c’è chi è spinto dalla povertà a cercare una nuova vita in Italia o in Europa. Ma c’è anche un’altra categoria di persone, rappresentata quasi totalmente da nigeriane, per lo più giovanissime, destinate dai trafficanti di esseri umani allo sfruttamento sessuale. Essi infatti hanno individuato nei flussi dei richiedenti asilo e soprattutto nel relativo sistema di regolarizzazione, la possibilità di introdurvi le loro vittime facendole arrivare nei campi di accoglienza, per fornirle di un regolare permesso di soggiorno obbligandole, quindi, alla prostituzione per la restituzione del debito. Altre ragazze invece, sono intercettate dalle loro madame e attese fuori dai campi per essere portate via prima che si rendano conto di cosa significhi abbandonare quello che dovrebbe essere un luogo di tutela, spesso per raggiungerle in Germania o in altri Paesi europei.
Come Suore Francescane dei Poveri ci siamo interrogate su come rispondere a questa nuova emergenza umanitaria, in linea con la nostra scelta capitolare di “lavorare con coloro che vivono in condizioni vulnerabili: poveri, donne, specialmente quelle invisibili …”. In modo particolare, come Progetto Miriam, ci siamo sentite chiamate a un duplice impegno. In primo luogo coinvolgerci insieme agli altri operatori del territorio che hanno a cuore le donne vittime di tratta in un lavoro di riflessione e nuova progettazione degli interventi. Nel complesso e mutevole scenario della tratta, questa problematica è stata rilevante, costringendo operatori e dirigenti a un confronto e un’integrazione tra il sistema tratta e il sistema richiedenti asilo. È cresciuta sempre più la consapevolezza che nei Cas (Centri di accoglienza straordinaria) è molto alto il rischio di sfruttamento. Grazie all’intervento degli operatori del Numero Verde anti-tratta, finalizzato all’emersione delle possibili vittime, è stato possibile prevenire molti casi di allontanamento forzato.
In secondo luogo, come Progetto Miriam, ci siamo aperte all’accoglienza di un buon numero di giovanissime donne che in Italia non hanno trovato l’approdo sicuro che si aspettavano, vivendo una nuova tragedia personale per se stesse e per le loro famiglie. Il desiderio è di offrire la possibilità di trasformare le dolorose esperienze vissute in un’occasione di vita per trovare sicurezza e un’esistenza più dignitosa possibile.
Abbiamo sperimentato reciprocamente gioie e piccole conquiste, ma anche fatiche e fardelli di dolore.
La fatica più grande, da parte delle ragazze, è quella di trovarsi in una realtà molto diversa dalle loro aspettative: accolte in una struttura di accoglienza che, per motivi di sicurezza, ha delle regole impegnative cui non sono abituate. Inoltre, conservano nel cuore e nella mente l’illusione che in Italia tutto può essere ottenuto gratuitamente, senza misurarsi con le loro capacità e le possibili risorse del territorio. Per questo non è sempre facile star loro accanto, accompagnandole nel comprendere che ciò che possiamo offrire è un percorso che fornisce opportunità, ma richiede anche impegno personale.
La gioia è riconoscere, nelle ragazze che accogliamo, piccoli segnali che indicano la loro capacità di recepire, di accogliersi reciprocamente, di esprimere gratitudine, di assumersi l’impegno a stare in questa realtà per il tempo necessario e nella modalità adeguata.
Le gioie e le fatiche che viviamo nel quotidiano, acquistano valore e danno senso al nostro agire perché ci rimettono nella dimensione di gratuità del servizio, aldilà dei risultati ottenuti o della rapidità con cui vediamo progredire le persone.
Il seme consegnato attraverso il nostro vivere potrebbe mostrare pochi germogli, ma questo non ci impedisce di continuare a spargere e anche di credere che se ci siamo impegnate per renderlo di buona qualità, potrà sempre portare il suo frutto.